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Paolo Cognetti: 8 Montagne di odi et amo

“Le otto montagne è il romanzo vincitore del premio strega 2017. Conta 199 pagine. Le prime 70 sono tra le più noiose e banali che abbia mia letto. La trama è interamente giocata sulle poche possibilità economiche di una coppia che trova il modo di lasciarsi alle spalle Milano e godersi una piccola casa in montagna.

Un inizio libro faticoso, non trovo nessuno stimolo in una storia del genere, sembra sia una tra le tante da pescare nella vita di tutti i giorni. Non c’è un ritmo narrativo che induca a continuare, non c’è uno scrivere elegante ed elaborato, garante di virtuosismi che fanno spalancare gli occhi. Non c’è niente. Solo una storia banale con un fondale accennato. Evito di non concludere i testi che comincio, non posso averne una visione critica se non li completo. Mi faccio forza e vado avanti.

Nelle restanti 129 pagine stringo la mano a Paolo Cognetti. La trama diventa interessante: il rapporto padre-figlio, le relazioni, gli amori e il concetto del ricordo legato a qualcosa che vogliamo dimenticare e ad alcuni luoghi che non vogliamo più visitare, ma ai quali, abbiamo legato l’ancora della nostra nave, perché sono parte di noi.

L’ancora ci tiene fermi, stabili, ed è cardine, fondamento, senza il quale non possiamo più vivere. Ironia della sorte, siamo legati al fondale, non possiamo navigare, non possiamo andare avanti. E’ un concetto che Cognetti rende benissimo e al quale da una sua risposta. Il romanzo nelle ultime righe trova una forza devastante, capace di farti chiudere il libro per rimanere in silenzio e ripensare a tutto l’arco narrativo che ha percorso Cognetti per arrivare a raccontare questa esperienza; questa verità.

Forse il testo risulta un poco artefatto, la storia si piega all’esigenza del concetto, specie nel finale, ma credo che valga la pena leggerlo; alt, però ci sono quelle 70 pagine, no Cognetti, quelle non te le perdono proprio! Credo che ci siano infinite tecniche narrative utilizzabili per renderle più interessanti, non averle usate è una pecca che non si può tralasciare.

La frasi e i dialoghi che mi hanno colpito di più del romanzo:

  • Forse è vero, come sosteneva mia madre, che ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli somiglia e dove si sente bene, La sua era senz’altro il bosco dei 1500 metri, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono il mirtillo, il ginepri e il rododendro, e si nascondo i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erbe d’alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scompare, la neve copre ogni cosa fino all’inizio dell’estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato dal quarzo e intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre. Dopo tre ore di cammino i prati e i boschi lasciavano il posto alle pietraie, ai laghetti nascosti dalle conche glaciali, ai canaloni solcati dalle slavine, alle sorgenti di acqua gelida. La montagna si trasformava in un luogo più aspro, inospitale e puro: lassù lui diventava felice.
  • “Non è un brutto posto?”
    “Si che lo è. Non pensavo di doverci tornare. Ma come si dice: certe volte per andare avanti bisogna fare un passo indietro. Se hai l’umiltà di riconoscerlo.”
  • Un uomo con due baffi bianchi mi raccontò che per lui era un modo di ripensare alla sua vita. Era come se, attaccando lo stesso vecchio sentiero una volta all’anno, si addentrasse tra i ricordi e risalisse il corso della propria memoria.

E poi ci sono le 7 righe di pagina 199, ma quelle non le riporto qui, meritano l’intimità lettore-scrittore.


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